Non voglio essere solo un rifugiato

Non voglio essere solo un rifugiato

Il discorso di Al Walid, giunto in Italia tramite i Corridoi Umanitari

Al Walid è un giovane siriano arrivato in Italia tramite i Corridoi Umanitari, e a Napoli, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, ha tenuto un discorso che desideriamo condividere per intero:

Buongiorno a tutti,
Mi chiamo Al Walid, ho vent’anni e sono siriano.
Vorrei iniziare il mio discorso parlando di qualcosa di speciale - forse il dono più prezioso che ho ricevuto in Italia.

Sono qui da circa un anno, e sin dal primo giorno in questo Paese, sono successe cose strane.
Ho cominciato a ricordare immagini della mia infanzia: scene che avevo dimenticato, emozioni gentili che non provavo da anni. Tutte avevano qualcosa in comune: venivano dalla Siria, prima della guerra. Dalla mia infanzia, prima degli otto anni, prima di fuggire.

Questi ricordi mi hanno sorpreso. Mi sono chiesto: “Perché? Perché proprio adesso?” Poi ho capito: non era una questione di luoghi, ma di emozioni. Forse... era il senso di sicurezza. Un sentimento che mi era diventato estraneo dopo dieci anni senza provarlo. E quando è tornato, sono tornate con lui anche le immagini. Sono felice che sia tornato, ma allo stesso tempo è un po’ triste rendermi conto che non ero nemmeno consapevole di averlo perso — mi ero semplicemente adattato.

Sono nato in Siria, e ho lasciato il mio paese a otto anni a causa della guerra. Ho vissuto undici anni in Libano come rifugiato. E sì... essere rifugiato è difficile. Ma in Libano lo era ancora di più, perché anche la vita dei cittadini lì è molto dura. Tutto è complicato: lavoro, scuola, futuro... per tutti. Lì ho iniziato l’università, studiando giornalismo e produzione cinematografica, ma ho dovuto interrompere perché la vita era diventata impossibile, nonostante tutta la determinazione che cercavo di metterci.

Poi sono venuto in Italia. Ovviamente, l’inizio non è stato facile: una nuova lingua, una nuova cultura, lontano dagli amici e dalle persone care.

Ma ho preso una decisione: non voglio essere solo un rifugiato. Voglio essere una persona che contribuisce a questa società che mi ha accolto.

Ora studio l’italiano, e a settembre inizierò l’università: Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. E voglio anche tornare al mio primo amore: il giornalismo. Voglio entrare nel mondo del giornalismo italiano, soprattutto nella politica... che in Italia, come sapete, è... diciamo... molto vivace!   (Tranquilli, non voglio diventare politico... almeno non ancora!)

In Libano, ho lavorato su progetti per combattere la disinformazione e l’odio online. E ho co-fondato una piattaforma chiamata VAR Platform. Lavoriamo con giovani in Libano e in Siria per promuovere la pace digitale e contrastare le fake news. Produciamo video, facciamo formazioni e sogniamo un futuro con più verità e meno odio.

Per concludere, noi rifugiati dobbiamo sempre “fare di più”: imparare la lingua, la cultura, mettere più impegno degli altri per ottenere qualsiasi cosa. E va bene. Molti di noi si sono abituati a questo. È quasi normale, ormai.

Ma oggi voglio dire una cosa: Anche voi potete fare di più.

Possiamo tutti fare di più per costruire una società davvero inclusiva. Non solo per aiutare i rifugiati, ma per camminare insieme a loro. Perché anche noi abbiamo sogni, competenze e voglia di contribuire. Vogliamo contribuire. Vogliamo crescere, imparare, lavorare, dare qualcosa all’Italia. E per quanto mi riguarda... anche a Napoli! Anche se non ho ancora imparato il napoletano... ci sto lavorando!  

Grazie all’Italia, a Napoli, e a tutti voi.
Perché qui ho ritrovato qualcosa importantissima... la speranza.

Grazie mille.

Redazione, 01/08/2025